Il diabete è una patologia strettamente legata all’alimentazione, sia a livello preventivo che terapeutico. In questo articolo vi spiegherò la differenza tra i vari tipi di diabete più diffusi e vi darò una base per capire quali sono le indicazioni dietetiche più importanti.
Cito subito la mia fonte, che non potrebbe essere più autorevole: gli standard italiani per la cura del diabete del 2018, un documento di oltre 350 pagine condiviso dall’AMD (Associazioni Medici Diabetologi) e dalla SID (Società Italiana di Diabetologia).
Innanzitutto, è bene sapere che ci sono almeno tre diversi tipi di diabete abbastanza diffusi, che sono però radicalmente diversi tra loro nell’esordio, nella decorrenza e anche nella terapia.
Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune che causa la distruzione delle beta-cellule del pancreas, causando l’incapacità di produrre insulina. Ne è affetto circa lo 0,3% della popolazione, ha esordio tipicamente entro i 30 anni ed è accompagnato da una sintomatologia tipica (poliuria, polidipsia, calo ponderale). Le indicazioni dietetiche per questo tipo di pazienti non sono diverse dalle raccomandazioni per la popolazione generale, ma devono essere parte di un preciso progetto di cura di cui fanno parte, ovviamente, la terapia insulinica e un programma individualizzato di attività fisica. E’ proprio per questo tipo di diabete che è necessario imparare a fare il conteggio (o counting) dei carboidrati, per avere sempre allineata l’introduzione di questo nutriente con il dosaggio insulinico prescritto.
Il diabete di tipo 2 invece presenta un deficit di secrezione insulinica parziale e progressivo nel tempo, che si instaura su una condizione di insulino-resistenza. Con esordio prevalentemente dopo i 40 anni, interessa circa il 5% della popolazione.
Il principale fattore di rischio per la sua insorgenza nell’adulto è certamente il sovrappeso, definito come un indice di massa corporea (IMC o BMI) superiore o uguale a 25 kg/m2, unito ad almeno una seconda condizione predisponente tra le seguenti:
- inattività fisica
- familiarità per questa patologia
- appartenenza ad un gruppo etnico ad alto rischio
- ipertensione arteriosa
- bassi livelli di HDL r/o alti valori di trigliceridi
- steatosi epatica non alcolica
- emoglobina glicata borderline in uno screening precedente
- soffrire di PCOS o altre patologie che presentino insulino-resistenza.
- Per la donna, avere partorito un neonato di peso superiore ai 4 kg o avere sofferto di diabete gestazionale.
Ho deciso di inserire un noioso elenco perchè il mio primo obiettivo è dare consapevolezza: se in questa descrizione ritrovi te stesso o una persona che ti sta vicino, sarà meglio iniziare ad informarsi su come invertire la rotta: infatti, più precocemente si mettono in atto dei cambiamenti nello stile di vita, più l’eventuale esordio della patologia viene spostato in là nel tempo. Puoi contattami subito utilizzando il box a lato per iniziare un percorso di prevenzione. Se invece sei spaventato perchè non sai cosa aspettarti dalla dieta e non sei sicuro di riuscire a seguirla, ti rimando a questo articolo cui potrai capire meglio in cosa consiste in pratica la dieta per questa patologia, sia nel momento antecedente l’esordio (prevenzione) che nel post-diagnosi.
Finora ho citato solo due varianti di questa patologia: la terza è rappresentata dal diabete gestazionale che è caratterizzato dall’esordio durante la gravidanza e dalla spontanea regressione dopo il parto. Potrebbe però ripresentarsi più avanti nel tempo, anche al di fuori dell’epoca gestazionale e allora verrà trattato generalmente come un diabete di tipo 2. Eviterò in questo articolo di parlare diffusamente di questa patologia, che tratterò nel prossimo futuro in un articolo dedicato interamente alla gravidanza.
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